Nessuno scompare davvero

by Claudia Fulvi

Ti ho amata dal titolo: NESSUNO SCOMPARE DAVVERO.

Per tutte quelle volte che alla domanda “ma dove sei finito?” vorremmo rispondere “in un luogo facilmente raggiungibile dall’autentico desiderio di raggiungermi”.

Perché diciamocelo, non tutti abbiamo bisogno di arrivare in autostop in Nuova Zelanda, ma molti di noi ogni tanto sentono il sacrosanto bisogno di scomparire, magari solo dietro una tenda lasciando uscire i piedi come il nascondino dei bambini, trattenendo il respiro.

A volte è una fuga, come per la Elyria di Catherine Lacey, perché di affrontare i non detti (o i non visti) non se ne può più, perché alcune parti di noi, a forza di non venir riconosciute e accudite, cominciano ad urlarci dentro.

“Mi sentivo come un mucchio di elastici aggrovigliati e penne con l’inchiostro secco e graffette appiccicose, come il contenuto di un cassetto dove uno mette tutte le cose che non sa dove infilare, e lo sapevo che la mente e il corpo cono connessi e che le mie sensazioni fisiche non erano altro che messaggi inviati dal mio cervello, ma avrei tanto voluto una scatola o un cassetto o un buco in terra dove disfarmi di tutta quella roba di cui non sapevo proprio che fare”

La protagonista di “Nessuno scompare davvero”  è una piccola donna di 28 anni a cui non è stato messo in mano il traduttore delle emozioni, così crede di non sentirle, di essere uno strano essere poco um
ano che non sa sperimentale, le prova per lei il suo bufalo interno che se ne riempie e la trascina in basso nel tentativo di annullarne l’effetto devastante.
Ma non sono le uniche emozioni che Elyria porta con sé, quelle buone della tenerezza o della paura del desiderio  o del sentirsi parte le affida alle figure che incontra durante la strada

“presi quello sguardo e lo incornicia e lo appesi dentro di me”

e viene voglia durante la lettura di unire i puntini per lei: le apprensioni delle donne che le danno passaggi, la dimentica compagnia del suo marito per finta,  lo specchiarsi in una bambina con le trecce, il parlare alla sua parte sperduta attraverso gli occhi di un bambino in un cespuglio, la fuga di fronte ai mobili della sua vecchia vita, il dialogare con una porta irrimediabilmente chiusa.

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